C'era un'altra Flottila

C’era un’altra Flotilla: quando 500 “folli” salparono verso Sarajevo (1992)

Forse non ce lo ricordiamo, ma più di trent’anni fa c’è stata un’altra Flotilla. Non verso Gaza ma verso Sarajevo. Era il 7 dicembre 1992 quando dal porto di Ancona salpò il Liburnija con a bordo 496 persone dirette nel cuore dell’assedio. L’idea, semplice e radicale, era questa: “Se i potenti non fermano le armi, ci andiamo noi, disarmati.”

A chiamare all’azione fu don Albino Bizzotto con lo slogan “In 100.000 a Sarajevo!”. Risposero in cinquecento. Li chiamarono “i folli”. Eppure quella “follia” fece la storia.

C’erano giovani e anziani, credenti e atei, suore e obiettori, anarchici e sacerdoti, attivisti laici e gente comune. Con loro due vescovi, Luigi Bettazzi e Tonino Bello, allora presidente di Pax Christi, malato ma determinato a interporsi fisicamente tra le parti in guerra.

L’Adriatico decise di mettere alla prova i “folli” con una tempesta e ore di paura, arrivarono con dodici ore di ritardo. Da lì, dieci pullman e due ambulanze cariche di aiuti, in colonna, tra posti di blocco, negoziazioni e stop continui.

Per entrare a Sarajevo serviva un miracolo diplomatico dal basso: i serbi avrebbero lasciato passare i pullman se dieci volontari si fossero consegnati come “ostaggi” a Ilidža, la parte della città sotto controllo serbo. Accettarono. E la carovana poté muoversi.

L’11 dicembre i 500 arrivarono sulle alture innevate sopra Sarajevo. La gente locale offriva tè caldo, qualcuno apriva casa agli autisti “anche se croati”. L’umanità scavalcava le linee del fronte.
In pieno coprifuoco, i pullman imboccarono il “vialone dei cecchini” dove da nove mesi neppure i mezzi ONU osavano passare dopo il calare del sole. Don Tonino lo disse così: “Stasera qui c’è un’altra ONU, un’ONU rovesciata.”
Per quel tempo sospeso, il fuoco calò. La presenza degli inermi era diventata un fatto politico: dimostrava che un’alternativa è possibile.

Il 12 dicembre don Tonino Bello pronunciò parole che ancora bruciano: “La pace si deve osare (non è la guerra l’unico verbo del coraggio)”, “La nonviolenza non è ingenuità: è strategia, è metodo, è scienza politica” e ancora “Servono istituzioni della pace (non della “difesa”) e una cultura che disinneschi la guerra prima che esploda.”

Quella notte i 500 rompevano l’assedio. Non per sempre, purtroppo. Ma abbastanza per rimettere al centro la dignità.

I 500 di Sarajevo non furono eroi mitici. Furono cittadini che decisero di spostare il confine del possibile.

Ho avuto la fortuna di assistere ad una lezione di giornalismo di pace dove il relatore, Alfio Nicotra, giornalista e operatore umanitario di “Un ponte per” ci ha raccontato di essere stato uno di quei 500 folli che nel 1992 arrivarono a Sarajevo sapendo che forse non avrebbero fatto ritorno a casa.

Nel 2024, trent’anni dopo, è partito nuovamente con diverse associazioni, giornalisti e parlamentari verso il valico di Rafah per seguire i container carichi di aiuti diretti alla popolazione palestinese (che non sono stati fatti entrare all’interno della striscia dall’esercito di Israele) per chiedere il cessate il fuoco immediato.

E poi la Global Sumund Flottila, movimenti che nel corso degli anni ci ricordano che quando i governi non fanno abbastanza, alcuni cittadini non stanno fermi a guardare.

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