Ken Loach e le periferie


Nato nel 1936 a Nuneaton, figlio di due operai, si sposta per tutta l’infanzia a causa della guerra e finisce per studiare legge a Oxford, ma all’Università conosce il teatro e la sua vita non sarà più la stessa. 

Inizia la gavetta come aiuto regista e poi alla BBC dove conosce Tony Garnett e con lui condivide ideali politici e la visione di un cinema che deve dire qualcosa in più.

Ken Loach già dal suo primissimo documentario punta i riflettori sulla classe operaia, affrontando temi politici e sociali e questo rimarrà sempre il fulcro delle sue opere e di quello che viene chiamato “stile Loach”, che è una postura morale prima ancora che estetica. 

La macchina da presa resta spesso un passo indietro, la fotografia proletaria illumina la stanza e non l’eroe, i dialoghi che non limano gli accenti perché le parole hanno radici e quelle radici sono storie che non possono essere cancellate per una scelta estetica.

Nei suoi film non c’è un personaggio “forte” che sovrasta gli altri: ci sono persone che provano a tenere duro, anime fragili che fanno una fatica bestiale, una comunità che prova a reggersi, nonostante tutto.

Quando sentiamo parlare di “drammi sociali” nel cinema, nel giornalismo, spesso ci si ferma alla superficie, conosciamo delle privazioni, leggiamo il racconto delle ingiustizie ma Ken Loach a mio avviso va oltre: non cerca di farti compatire semplicemente i suoi personaggi, ma vuole riconoscerli in tutta la loro complessità.

Ken Loach e le periferie

I suoi protagonisti sono: la classe operaia, le periferie inglesi, gli amici al pub, il dolore, la rabbia e una marea di ingiustizie (ma anche di sfighe, diciamolo) e ovviamente la periferia, il centro di ogni suo film.

Gli attori sono totalmente perfetti nei loro ruoli e la macchina da presa che non entra a gamba tesa è già un atto politico.

Spesso nei suoi film troviamo delle famiglie fragili, spezzate, non deboli ma con situazioni a volte devastanti. Con Ladybird Ladybird credo di aver pianto tutte le mie lacrime, un film brutale che sembra non lasciarti mai un briciolo di speranza e che smonta una madre pezzo per pezzo e anche lo spettatore. 

Molto spesso ci racconta di una famiglia “difficile” che non è mai quella confezionata di molti altri registi: famiglie stanche, spezzate, resistenti, che restano fragili non perché “deboli”, ma perché in balìa di mille cose.

Politicamente Loach è sempre “di parte”.

Lui sta apertamente con chi paga il prezzo, con chi perde il lavoro, con chi si sente tradito dalle istituzioni e dalla politica, con chi a volte ha davvero troppe sfighe.

Nel suo cinema non esiste l’innocenza della neutralità, ma non è nemmeno detto che vi possiate confortare con un lieto fine.

I suoi protagonisti sono tentati ad odiare (e in alcuni momenti vi sfido a non essere tentati anche voi davanti ad alcune ingiustizie raccontate nei suoi film).

Ma ci sono anche tanti momenti al pub con gli amici, un’ironia che forse non alleggerisce la durezza dei temi, ma l’accompagna

Lo stile politico di Ken Loach non è mai quello di un ideologo che spiega, ma di un uomo che ascolta. È una politica incarnata, quotidiana, fatta di facce, dialetti, bollette da pagare, mani che lavorano, corpi che resistono. Non usa lo schermo per impartire lezioni ma per ristabilire un equilibrio morale: dare parola a chi non ce l’ha.
Il suo è un cinema dichiaratamente schierato, un realismo militante che però non costruisce eroi: preferisce l’umanità minuta, le contraddizioni, la rabbia, la vergogna, la compassione. Politico non perché “parla di politica”, ma perché mostra come le decisioni del potere si depositano nella vita delle persone comuni, nelle cucine, nei turni di notte, nei corridoi di un ufficio di collocamento.

Ken Loach e le sue periferie fanno quindi un cinema di opposizione e di ricucitura. Denuncia, ma sempre in nome di qualcosa: della solidarietà, del senso di comunità, della dignità del singolo o della famiglia. 

Il suo linguaggio politico nasce dal linguaggio del popolo. Non ci sono grandi discorsi, non ci sono musiche eroiche perché la retorica viene sostituita dalla realtà dura e cruda. 

Per Loach la politica non è un tema: è il modo stesso di guardare il mondo. Ogni film diventa un atto di solidarietà, un gesto di disobbedienza gentile contro l’indifferenza. Non consola, non addolcisce, ma invita a partecipare, a non voltarsi. Il suo cinema è un’educazione alla consapevolezza: ti mette davanti all’ingiustizia, e poi ti chiede: “E tu, da che parte stai?”

FILM CONSIGLIATI

  • Riff Raff – (Amazon Prime e Rakuten TV)
  • Piovono pietre – (Chili e Amazon Prime)
  • Ladybird Ladybird – (Chili e Amazon Prime)
  • Terra e libertà – (Rai Play e Amazon Prime)
  • La canzone di Carla – (Amazon Prime)
  • My name is Joe – (Rai Play e Amazon Prime)
  • Bread and roses – (Rai Play, Mubi e Amazon Prime)
  • Paul, Mick e gli altri – (Rai Play e Amazon Prime)
  • Sweet Sixteen – (Rai Play e Amazon Prime)
  • Il mio amico Eric – (Rai Play e Amazon Prime)
  • Sorry we missed you – (su più piattaforme ma tutti a pagamento)
  • The Old Oak – (Tim Vision)

(Segnalo sempre le piattaforme in cui è gratuito o compreso nell’abbonamento)

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